Vi sarà capitato mille volte di passarci. Un angolo che confina con via Marmorata e guarda la Piramide. Largo Manlio Gelsomini. Eroe della Resistenza, coraggioso combattente contro i nazisti nell’anno buio dell’occupazione di Roma, tradito da una spia in un bar di piazzale Flaminio, prigioniero nell’inferno del carcere nazista di via Tasso e poi finito fra le 335 vittime delle Fosse Ardeatine. Quando riesumarono il suo corpo scoprirono tante pagine del suo diario nascoste nel cappotto che portava, un documento oggi custodito nel Museo della Liberazione e in diverse parti, inedito.

Ma Gelsomini fu anche un atleta. Atleta tutto di un pezzo prima che la sua professione di medico nel quartiere di San Lorenzo gli sequestrasse tutta la giornata. Anni 30, campione regionale dei 100 e dei 200 metri, un viaggio con la Nazionale maggiore in Inghilterra, 11 netti sulla distanza più breve con un tallone d’Achille: le false partenze.

Si allenava sull’anello dello stadio della Farnesina dove si presentava vestito tutto di bianco suscitando l’ammirazione degli aspiranti velocisti. Fino al sogno di andare alle Olimpiadi di Los Angeles, sfumato in mezzo ai libri di medicina e alle mattinate da tirocinante al Policlinico Umberto I. A un certo punto, nelle sue giornate non ci fu più posto per lo sport: ospedale al mattino, studio privato al pomeriggio, visite domiciliari di sera. Un atleta eclettico, che non disdegnava grandi nuotate sul Tevere per spezzare la giornata e intermezzi rugbistici in mezzo ai primi vagiti della serie A dell’ovale. Lui, che nell’atletica vestiva i colori della Roma, per cercare una meta indossava invece quelli della Lazio…