Lui ce l’ha ancora. Livio Berruti ha ancora la tuta che Wilma Rudolph gli diede quel giorno, il giorno della foto al Villaggio Olimpico. L’Olimpiade del 1960 li aveva coperti d’oro: lui vinse i 200 con una strepitosa volata accompagnata dal volo dei colombi, lei 100, 200 e staffetta 4 x 100. Fu l’allenatore di lei a combinare l’incontro per lo scambio di tute.

Lui aveva vinto dopo aver studiato sul manuale universitario di chimica organica fra la semifinale e la finale: quel suo trionfo non scalfì la sua normalità di diligente studente universitario. Lei era diventata la donna più veloce del mondo dopo aver passato i primi sette anni della sua vita senza poter camminare per la poliomielite. Fino a 11 anni fu costretta a usare le stampelle e dicono che proprio quando dei ragazzini gliele avevano rubate per uno scherzo di pessimo gusto, imparò a fare da sola. Prima a camminare. Poi a correre. Forte, veloce, come nessuna al mondo. “Aveva un sorriso magnetico che catturava”, raccontò negli anni il campione azzurro. Fino a una confessione: “Un giorno mi prese la mano, fu lei, lo giuro”.

Berruti ammise di aver sperato che alla fine dei Giochi ci potesse essere un po’ di tempo per stare insieme. Ma gli atleti statunitensi venivano rispediti a casa subito dopo aver concluso le gare e allora rimasero nella memoria soltanto i grandi sorrisi che si scambiarono. Wilma sparì e Berruti rimase solo in via Argentina, dove c’era la palazzina della squadra italiana.