C’è un giorno da segnare in rosso nella storia del movimento paralimpico italiano e mondiale: il 2 aprile del 1981. 24 ore prima si era svolto a Roma il convegno “L’handicappato e lo sport” organizzato dal Coni. E pochi mesi prima era nata la Federazione Italiana degli Sport Handicappati.

Erano proprio i Giochi Internazionali per handicappati a cui avrebbero preso parte 500 atleti, gli handicappati. L’espressione è stata travolta dal tempo e dalla diffusione degli sport fra le persone con disabilità, ma allora era un vocabolo che andava per la maggiore.

A prenderla a schiaffi fu un canadese di 23 anni, Arnie Boldt, che saltò in alto 2 metri e 4 centimetri su una gamba sola allo stadio dei Marmi. L’emozione per l’impresa dell’atleta amputato fu enorme: se ne parlò nei programmi televisivi, i giornali cominciarono a scoprire un mondo fino a quel momento confinato in una periferia consolatoria lontana dal centro della scena.

Ci si interrogò su quel balzo prodigioso compiuto senza l’ausilio della protesi. Ancora a Roma. In cui era già stata scritta un’altra pagina preziosa: ventuno anni prima la città aveva ospitato le prime Paralimpiadi organizzate nella stessa sede delle Olimpiadi, con la cerimonia di apertura organizzata all’Acqua Acetosa. A distanza di un paio di chilometri di Lungotevere, grazie allo straordinario canadese, questo movimento scoprì una nuova dimensione. Da quel momento, il movimento paralimpico, all’interno del quale Boldt sarebbe rimasto tanti anni provando anche il ciclismo, era entrato nel futuro.